Nel linguaggio comune, che spesso diventa anche linguaggio del business, la parola privacy è intesa come sinonimo di riservatezza, rispetto della vita privata. E’ da qui che nascono molti fraintendimenti rispetto a ciò che significa proteggere la privacy ed altrettanti riguardo il lavoro dei professionisti del settore.
Molti cittadini comuni, ma anche imprenditori, professionisti, artigiani, non comprendono il motivo per cui la privacy debba essere protetta anche in contesti non privati, come il lavoro in azienda, i rapporti commerciali, gli ambiti collettivi (scuole, palestre, cinema, manifestazioni pubbliche) o simili. Il sentire comune percepisce una distinzione tra la casa (intesa come sfera privata), dove giustamente ognuno (e specialmente le persone ad alta visibilità) ha diritto alla sua intangibile riservatezza, e gli ambienti pubblici o sociali, dove invece lo spazio sarebbe (o dovrebbe essere) naturalmente aperto e privo di tutela. Faticano a comprendere perché, per acquistare un prodotto sul web, per stipulare una polizza assicurativa o per sottoscrivere la raccolta punti di un supermercato, debbano firmare dei papiri illeggibili (e, in verità, mai letti), chiamati “la privacy”.
La prima causa di questa incomprensione è proprio generata dalla parola che semplicisticamente utilizziamo, privacy appunto. Forse dovremmo sforzarci di introdurre nel linguaggio comune la locuzione “protezione dei dati personali”. Ma ai più risulterebbe oscura.
Di recente in una trasmissione radiofonica piuttosto popolare, ho sentito il conduttore dipingere come paradossale un caso di protezione dei dati che, a ben vedere, tanto paradossale non è. Un comune cittadino avrebbe denunciato per violazione della sua privacy un sindaco che, per combattere l’abbandono di rifiuti sul territorio, avrebbe pubblicato le immagini fotografiche dell’atto di abbandono, e disposto l’analisi dei rifiuti per poter risalire, tramite indizi, al responsabile dell’illecito. Con tutti i condizionali applicabili al caso specifico, ai più probabilmente sfugge che anche i miei rifiuti, se riconducibili alla mia persona, sono un “dato personale”. L’affermazione può sembrare poco condivisibile, in generale. Ma proviamo ad immaginare di trovare, tra i rifiuti condominiali, un medicinale per curare una malattia rara. Un sex toy. Un giornale di un gruppo di estrema destra. Siamo ancora così sicuri che il rifiuto non sia un dato, e che non sia degno di protezione?
Immaginiamo che lo stesso soggetto che raccoglie i dati sui rifiuti da me prodotti, in ipotesi, il mio comune di residenza, disponga inoltre di dati sulla mia condizione familiare e reddituale, sul mio stato di salute e sulla mia fedina penale (attraverso i servizi demografici e sociali) sulle mie proprietà immobiliari (attraverso l’accesso ai servizi catastali). Immaginiamo che organizzi tutti questi dati in modo estremamente efficiente e strutturato. Immaginiamo che li trasmetta ad altri soggetti pubblici in grado di incrementare la massa condivisa di informazioni disponibili (forze dell’ordine, uffici giudiziari, agenzie fiscali, …) ed immaginiamo che l’uso di tutti questi dati, strutturati ed organizzati, non sia in alcun modo limitato né per tipo di trattamento né per finalità di trattamento, né per possibilità di diffusione o comunicazione. Che ne risulterebbe? Probabilmente la morte della libertà individuale e collettiva. Qualcosa di simile al Grande Fratello di George Orwell.
Potremmo esser tentati di pensare che, tanto, questo non succederà, conoscendo la cronica carenza di efficienza della pubblica amministrazione italiana. Potremmo essere tentati di dire, che, in fin dei conti, se lo scopo di tutto questo è garantire il rispetto della legge (la repressione e prevenzione dei reati, la lotta all’evasione fiscale, la sicurezza delle nostre città, …) beh allora forse potremmo sacrificare un po’ della nostra libertà a questi nobili scopi. Ma se la pensiamo così, probabilmente, sbagliamo la prospettiva.
Quello che si è visto ed è noto finora, in termine di sfruttamento dei dati personali, è solo l’inizio di un percorso che, in tempi rapidissimi, cambierà il nostro modo di vivere. Non capirne il potenziale e le minacce che fin d’ora si intravvedono all’orizzonte rischia di farci trovare impreparati e passivi di fronte al futuro. In tal caso, qualcun altro sceglierà al posto nostro.
"Quello che si è visto ed è noto finora è solo l’inizio di un percorso che cambierà il nostro modo di vivere."