Pochi giorni fa mi sono trovato invischiato nell’ennesima discussione con un programmatore software. A fronte di alcune mie osservazioni rispetto alla compliance privacy del prodotto che andava realizzando, il suddetto è sbottato lamentando l’idiozia di una norma (il GDPR) che limiterebbe (a suo dire) lo sviluppo di una vera economia digitale in Italia e in Europa. Mentre il resto del mondo con i dati fa un enorme business, noi restiamo indietro ed abbiamo le mani legate. 

La posizione è arcinota, ma suscita in me considerazioni sempre nuove. 

La prima. IL GDPR non sarà una norma perfetta, ma ha l’enorme pregio di cercare, e spesso realizzare un punto di equilibrio tra lo sviluppo dell’economia digitale e il rispetto della persona. Un’economia digitale umanista, insomma. Chi critica il GDPR ritenendo che limiti l’iniziativa imprenditoriale, spesso ignora che il GDPR consente di fare innumerevoli cose. Soltanto, chiede di farle in un certo modo. 

La seconda. Lo stato della California, sede delle aziende digitali più importanti al mondo, si è recentemente dotato di una normativa privacy chiaramente ispirata al GDPR. La mia sensazione, come quella di molti altri, è che la politica illuminata cominci a comprendere i rischi di un’economia digitale senza regole. In questo senso il GDPR non rappresenterebbe l’espressione di un mondo arretrato, ma quella di un’avanguardia. 

La terza. Tra la fine degli anni novanta dello scorso secolo ed primo decennio degli anni duemila, una falsa idea di sviluppo ha portato a creare e gonfiare all’inverosimile il mercato dei prodotti finanziari derivati. Sappiamo come è andata a finire. Non sempre ciò che appare un buon business rappresenta il vero l’interesse dell’umanità, una vera occasione di sviluppo. 

La quarta. L’economia digitale è un’enorme opportunità, ed al tempo stesso una formidabile minaccia per l’umanità. Un uso non regolamentato dell’economia digitale (da parte del pubblico e dei privati) potrebbe cancellare il concetto stesso di libertà individuale e collettiva in meno di venti anni. Gli operatori del settore, programmatori in primis dovrebbero esserne perfettamente consapevoli. Talvolta invece si innamorano delle soluzioni tecnologiche (e delle possibilità di sviluppo economico) senza alcuna responsabilità verso il contesto storico e sociale. 

La quinta. Offrire prodotti digitali rispettosi degli esseri umani può essere il vero valore aggiunto dei “piccoli”. Di fronte ai colossi che dispongono di masse enormi di dati, la competizione potrebbe, questa volta, essere proprio sull’utilità del servizio. Realizzare  strumenti digitali che possono aiutare le persone a migliorare la propria vita, e che le stesse andranno a scegliere con competenza, consapevolezza e libertà. 

Alle volte, per comprendere se uno sviluppatore condivide lo spirito del GDPR, basta porre una domanda molto diretta, e pretendere una risposta sincera. La domanda è questa: “come vorresti che fossero gli utilizzatori del tuo prodotto, idioti o intelligenti?”. Dietro ad una domanda di questo tipo, si proiettano due mondi diversi. Il primo, un mondo di persone-oggetto, fonti di dati e statistiche, consumatori, una massa da spremere e condizionare allo scopo di generare il massimo profitto o vantaggio. Il secondo, un mondo di esseri pensanti, liberi, consapevoli, a cui offrire dei prodotti capaci di migliorare le loro vite, aumentare le possibilità di scelta, consentire l’espressione delle loro personalità, l’interazione con gli altri individui, il territorio, l’ambiente e la società.